Il Fotoreporter

... Il fotoreporter indipendente, non condivide i rischi con nessuno... Non ha legami protettivi. Fa pensare ad un soldato di ventura. Ha un rapporto passeggero con chi gli compera le fotografie; e di solito gliele comprano a condizione che" dicano qualcosa". Al massimo ha un contratto effimero, il tempo necessario per un reportage. In gergo si dice "Assignement". Non è facile far parlare una fotografia, far sì che dica qualcosa. Bisogna che il gesto, l'espressione, la scena inquadrata nell'obiettivo riassuma una situazione e susciti giuste reazioni: ripulsa, approvazione, pietà, disgusto, ammirazione, perplessità... Invidio i fotoreporter che riassumono in un immagine una guerra, una rivoluzione, una crisi economica, una calamità naturale, un istante di felicità collettiva. In questi casi la fotografia non equivale ad un articolo, è un romanzo... Ma per captare quella immagine è necessario andare nel cuore dell'avvenimento ... Bernardo Valli (Giornalista ed Inviato)



... Amo documentare attraverso la fotografia e la scrittura tutto ciò che mi emoziona. Mi piace raccontare e descrivere, luoghi lontani, usi e costumi differenti, le piccole storie di vita e fatica quotidiana, il contatto con le persone ... Considero questo Blog di Narrazione, l'inizio di una nuova avventura, un viaggio vissuto con consapevolezza, una nuova esperienza da condividere, per approfondire i differenti aspetti della realtà ... Alfredo Felletti (Reporter Free-Lance)



... Every minute j was there j wanted to flee, j did not want to see this... would j cut and run ... or would j deal with the responsibility of being there with my camera ...


















lunedì 27 agosto 2012

Algeria_rinascita di una nazione_la natura

L'Algeria ha molto da offrire a chi ama la natura e l'archeologia; lo spettacolare desserto del Tassili, altipiani e pinnacoli di roccia arenaria a strapiombo sulle dune, le montagne dell'Hoggar, i " Graffiti " nascosti tra le rocce, dipinti migliaia di anni fa da un popolo misterioso di cui ancora oggi si conosce poco o niente, mostrano questa zona del Sahara molto diversa da come la vediamo oggi: Questi graffiti narrano storie di cacciatori nomadi, di guerre e danze tribali, di animali catturati, elefanti, bufali e giraffe e di quando al posto della sabbia, milioni di anni fa c'erano fiumi e alberi. Facile è poi incontrare durante gli spostamenti, i nomadi Tuareg a dorso di dromedario, con le loro carovane cariche di merci. Djanet è punto di partenza privilegiato per molte escursioni. L'oasi è al centro del nulla ed il minuscolo aereoporto è costruito tra le sabbie del deserto. Raggiunto rapidamente L'Hotel Zeriba, piccolo con camere molto spartane, docce e bagno in comune, ma grazioso e con un bel giardino interno, è il campo-base di tutti gli occidentali che si avventurano nel Sud. Ha il vantaggio di trovarsi nel centro a due passi dalla via principale. La città nuova costituita da casette bianche e basse è cresciuta rapidamente, circondando il centro storico con le vecchie case di pietra e fango che sormontano una piccola collina e tutto intorno il Palmeto. Donne in chador colorato percorrono le vie polverose e affollano il piccolo mercato. Qui gruppi di etnia Tuareg sedentarizzati si mischiano con gruppi di arabi. Djanet ha l'aria tranquilla ed un po'sonnolenta delle cittadine di frontiera. Vicino al piccolo ma interessante museo dedicato alla cultura Tuareg, che contiene importanti reperti archeologici, gruppi di ragazze escono dalla scuola con i libri in mano; gli artigiani lavorano nei negozi, mentre sono numerosi gli uomini che conversano tra di loro seduti nei giardini all'aperto. Molte sono le piccole agenzie turistiche sorte negli ultimi anni, segno di una buona ripresa economica. Una guida molto speciale è Gianna, che vive qui circa sei mesi l'anno. Vent'anni fa ha sposato Jabal, tuareg algerino e da qualche anno organizzano spedizioni nel Tassili. Ricorda come fosse oggi il primo viaggio in Algeria verso la metà degli anni 80'. E' rimasta conquistata dalle bellezze del deserto, ritornando più volte e vivendo per lunghi periodi con una famiglia di Tuareg, fino ad incontrare il suo attuale marito. Racconta che dai Tuareg è stata accolta come una di loro e nonostante la diversità non vi è mai stato un vero scontro di culture. Il ruolo della donna nelle famiglie Tuareg è molto importante e la società matriarcale. Lungo le piste sabbiose dell'Oued In Djeran il deserto è veramente deserto. Sono pochi i turisti che si incontrano, quasi tutti francesi, che al fuoristrada preferiscono, quello che loro chiamano " Radonnèe "ovvero una specie di trekking a piedi in una zona limitata del deserto alla scoperta dei graffiti. Ma a chi appartiene oggi il deserto ? Questo territorio immenso chiamato Sahara, mi chiedevo la sera bevendo thè alla  menta in compagnia degli amici Tuareg; tutti seduti in circolo attorno al fuoco. Certamente alla multinazionali dell'estrazione del gas e del petrolio, ai tecnici, ai militari con compiti di sorveglianza. Sicuramente ai turisti che nel deserto ritrovano quella libertà interiore e solitudine che nelle nostre città sovraffollate è ormai impossibile da ottenere. Anche chi traffica in uomini e armi, per vie sconosciute e contrabbanda ogni genere di merce, usa il deserto come una proprietà. Il deserto appartiene a tutti e a nessuno, ma certamente sempre meno ai Tuareg, costretti in alcuni casi ad una sedentarietà forzata e malvisti da alcuni governi che non tollerano che le varie tribù, ancora nomadi, entrino ed escano dai confini nazionali dei vari stati senza alcun tipo di controllo. Quale sarò il loro futuro ? A rischio estinzione, sembra che l'unica possibilità di sopravvivenza sia l'integrazione nella società moderna, anche a rischio di perdere la loro indentità. Viaggiare in Algeria oggi significa anche questo, avere la possibilità di un contatto ancora genuino con le popolazioni del deserto, gente semplice ed ospitale, non ancora abituata alle presenze e ai grandi numeri del turismo occidentale di massa. Significa aiutare un popolo, quello algerino e quello tuareg.
A.F.

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